Chiosando don Lisboa. Riflessioni sulla guerra in Mozambico

Pur nella limitatezza dei propri mezzi, il Ciscam è stata una delle pochissime piattaforme italiane di questioni africane che da tempo aveva segnalato la tragedia di Cabo Delgado, provincia all’estremo nord del Mozambico, al confine con la Tanzania, in cui da qualche anno sono stati scoperti enormi giacimenti di gas sia off-shore (Eni, Exxon, Galp) che on-shore (Total), insieme al maggiore giacimento di rubini al mondo, a Montepuez.

L’attenzione dei media italiani è stata, come al solito, assai blanda e intermittente in rapporto a questa guerra, scatenatasi ufficialmente in ottobre del 2017, che sta causando circa 700.000 profughi (su una popolazione complessiva di Cabo Delgado di circa 2 milioni di abitanti), un numero imprecisato di morti, comunque nell’ordine di alcune migliaia, e la perdita del controllo di gran parte del territorio di quella provincia da parte delle forze governative, in favore di gruppi sedicenti islamici radicali, che farebbero riferimento alla Provincia dell’Africa Centrale dello Stato Islamico, a cui il Mozambico apparterrebbe.

I media internazionali, e di conseguenza quelli italiani, hanno rappresentato, nella loro maggioranza, il conflitto di Cabo Delgado come causato dalla “maledizione delle materie prime” (in questo caso il gas), unita alla formazione di gruppi consistenti di radicali islamici, legati, appunto, allo Stato islamico.

Al di là di questi luoghi comuni, tuttavia, assai poco è penetrato rispetto a quanto sta accadendo a Cabo Delgado. Don Lisboa, che è stato vescovo di Pemba (capitale di Cabo Delgado) per molti anni, pochi giorni fa ha rilasciato una intervista a “Repubblica”, in cui ha compiuto alcune precisazioni, su cui vale la pena riflettere:

  1. Il ruolo del governo: una delle leggende immediatiste diffusasi nella stampa internazionale ha riguardato il ruolo del governo mozambicano come mera vittima di un attacco jihadista. In realtà, buona parte della media locale sta facendo emergere le complicità che sia alti ufficiali che politici di punta di quel paese hanno avuto affinché l’attuale situazione si venisse a determinare. Senza entrare qui in merito, anche per il fatto che, a oggi, siamo ancora nel campo delle ipotesi, vale però la pena ricordare quanto sottolineato da don Lisboa: egli è stato praticamente costretto dal Papa a lasciare Cabo Delgado, accettando il ritorno presso una diocesi dello Stato de Espírito Santo, nel sud del Brasile, a causa delle ripetute minacce di morte ricevute. Tali minacce – puntualizza don Lisboa – non avevano la loro origine nei presunti jihadisti, bensì nel governo mozambicano. Lisboa spiega, infatti, che il governo di Maputo non ha mai accettato critiche nè suggerimenti sulla questione della guerra a Cabo Delgado, ignorando le segnalazioni di comportamenti anomali e violenti, da parte di giovani sedicenti musulmani contro i leader islamici locali, così come contro le loro moschee. Col passare del tempo e delle denunce da parte di don Lisboa, le minacce di morte provenienti dal governo di Maputo si sono fatte sempre più insistenti e circostanziate, costringendo il Vaticano alla decisione estrema di spostare il vescovo di Pemba verso altra sede. Un governo che è una vittima di un attacco armato si comporterebbe così? Più di un dubbio è lecito porselo… Continua a leggere sul sito di Ciscam

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