Il mondo ricorda Thomas Sankara, ucciso 20 anni fa

Thomas Sankara è stato l’eroe della rivoluzione popolare che nel 1983 cambiò i destini del Burkina Faso, che da decenni vedeva accrescere una miseria devastante sotto l’alternarsi di colpi di Stato. In soli quattro anni di governo, riuscì a realizzare riforme sociali epocali cambiando il volto del Paese, lasciando un segnale indelebile nelle coscienze politiche di tutti i popoli africani.

Dal 1896 protettorato e poi colonia dell’Africa occidentale francese, il Burkina Faso, col nome di Alto Volta (la regione conteneva la parte superiore del bacino idrografico del Volta), dopo aver subito smembramenti e riunificazioni, divenne nel 1947 uno Stato a sé anche se dovette aspettare il 1958 per inaugurare una forma di autogoverno all’interno della Communauté Franco-Africaine. Due anni dopo ottenne la completa indipendenza. Gli anni successivi furono segnati, come accadde in quasi tutte le ex-colonie europee in Africa, dalla cronica instabilità politica e dal saccheggio delle risorse pubbliche da parte della corrotta classe dirigente.

Nel 1960 l’Alto Volta era un Paese di sette milioni di abitanti, di questi sei milioni erano contadini; aveva un tasso di mortalità infantile al 180 per 1000 e una percentuale di analfabetismo del 98% della popolazione; l’aspettativa di vita era in media di soli 40 anni; c’era un medico ogni cinquantamila abitanti. L’Alto Volta era una nazione letteralmente assediata dalla desertificazione, dalla carestia e dal crescente debito estero. Fino al 1983 è stato uno dei Paesi più poveri del mondo, anche per la forte carenza di materie prime.

Eletto alla presidenza nel 1960, Maurice Yaméogo instaurò un regime autoritario, suscitando crescenti controversie. Nel gennaio del 1966 le misure d’austerità introdotte dal suo governo provocarono le grandi proteste dei sindacati e dei movimenti d’opposizione: Yaméogo venne costretto a dimettersi. Sangoulé Lamizana divenne il nuovo leader  promulgando una Costituzione con aperture democratiche. Per risanare le finanze statati devastate, adottò una politica economica estremamente severa e rigida. Gli effetti della grave carestia e del conflitto armato con il Mali per il controllo dei giacimenti minerari nella Striscia di Agacher, la povertà estrema delle zone rurali, l’economia in mano ai poteri neocoloniali, la corruzione dilagante, le lotte per accaparrarsi scampoli di potere, uniti all’aumento dei prezzi e al blocco dei salari scatenarono nuove forti proteste di massa e determinarono una prolungata instabilità politico-istituzionale perdurata fino ai primi anni Ottanta finché, nell’agosto del 1983, la ribellione di un gruppo di militari, che si autodefinivano “rivoluzionari”, portò al potere Thomas Sankara:  “Non posso contribuire a servire gli interessi di una minoranza” disse. “Non è giusto che qualcuno muoia di fame e privazioni mentre qualcun altro può permettersi di sprecare o gozzovigliare”. E ancora: “Crediamo che il mondo sia diviso in due classi antagoniste: gli sfruttati e gli sfruttatori; Non possiamo esimerci dalla ricerca a oltranza della giustizia sociale”. Iniziava la rivoluzione burkinabé. Sankara ed il suo Consiglio nazionale rivoluzionario miravano a un cambiamento radicale della società. Si aprì nel Paese un’originalissima fase politica osservata con interesse da più parti; venne inaugurata una campagna di moralizzazione della pubblica amministrazione e una politica economica attenta alle esigenze delle popolazioni rurali, la stragrande maggioranza (misera) della nazione. Nell’agosto 1984, per primo anniversario della presa del potere, il nuovo corso fu sottolineato anche simbolicamente cambiando la denominazione del Paese da Alto Volta,  d’eredità coloniale, in “Burkina Faso” che significa più o meno “Paese degli uomini liberi ed integri”.

Il programma di governo era davvero rivoluzionario per un Paese africano: in meno di tre settimane il 60% dei bambini del Paese fu vaccinato contro la meningite e la malaria. Ovunque Sankara fece costruite nuove scuole, presidi sanitari, magazzini per conservare i raccolti in vista della razionalizzazione della produzione agricola. Per la realizzazione di queste opere, e per farlo nel più breve tempo possibile, Sankara puntò al coinvolgimento diretto della popolazione. Molta gente si offriva volontaria per realizzare le opere della rivoluzione, ad altri invece, come i capi-villaggio, fu imposto di seguire corsi di formazione per infermieri di primo soccorso, perché potessero essere utili agli altri abitanti, rompendo quindi gli schemi culturali di tipo feudale che permettevano, fino ad allora, ai capi-villaggio di comportarsi come signorotti locali per sfruttare i contadini. Sul piano sociale e culturale Sankara creò una frattura netta col passato. In questo modo Sankara si era procurato diversi nemici all’interno del suo stesso Paese. Pur godendo dell’appoggio delle masse, entrò sempre più in contrasto con alcuni gruppi di potere molto influenti come i proprietari terrieri, i capi tradizionali. Per la campagna di alfabetizzazione rapida delle enormi zone rurali furono imposti periodi di lavoro comunitario agli studenti universitari, impiegati oltre che nella campagna della vaccinazione di massa contro le malattie infantili, nella costruzione di opere pubbliche, nella creazione e sviluppo di cooperative agricole (anche i funzionari statali avevano l’obbligo periodico di partecipare a queste campagne). Nel 1986 il Burkina Faso raggiunse l’autosufficienza alimentare.

Fu ridotto lo stipendio dei militari, dei dirigenti pubblici e del governo stesso imponendo una radicale politica di austerità e oculatezza a tutti i funzionari pubblici. Thomas Sankara scelse di vivere sulla propria pelle il modello di vita proposto alla sua gente: “Non possiamo essere la classe dirigente ricca di un Paese povero” amava ripetere spesso. Rifiutava di stare al di sopra delle possibilità della gente comune; fece vendere le auto blu ministeriali, sostituendole con semplici utilitarie, guidava personalmente una Renault 5 o usava una bicicletta. La denuncia pubblica e il licenziamento dei funzionari statali colpevoli di corruzione era la via praticata da Thomas Sankara che scelse di ridurre drasticamente le spese dell’amministrazione statale, fino ad allora fonte di sperpero del 70% del bilancio totale.

Il grande obiettivo della rivoluzione era far raggiungere al Paese l’autosufficienza alimentare.

A New York, durante la 39ª sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, Sankara affermò che in “un mondo dove l’umanità è trasformata in circo, lacerata da lotte fra i grandi e i meno grandi, attaccata da bande armate e sottoposta a violenze e saccheggi […] dove le nazioni agiscono sottraendosi alla giurisdizione internazionale, armando gruppi di banditi che vivono di ruberie e di altri sordidi traffici”, la priorità dei suoi programmi era quella di restituire la dignità al suo popolo, strangolato da vecchi e nuovi colonialismi; egli ricercava la “felicità” diffusa, intendendo per essa qualcosa di realmente concreto: pasti due volte al giorno e almeno dieci litri d’acqua potabile tutti i giorni per ogni persona. Si investì nello scavo di pozzi e nella costruzione di piccole dighe, fu fornito aiuto economico e tecnico alla popolazione rurale. Furono favorite politiche ambientali di salvaguardia del territorio e di riforestazione, contro l’avanzare del deserto e a favore di una agricoltura di sussistenza, non di depauperamento del territorio a causa di uno sfruttamento intensivo. “La distruzione impunita della natura continua. Noi non siamo contro il progresso, semplicemente chiediamo che esso non significhi anarchia criminale e disprezzo per i diritti degli altri Paesi”. Il pane veniva fatto mischiando la farina di miglio a quella di mais perché altrimenti costava troppo e doveva essere importato con pesanti ricadute sul debito.

Mangiare quel che si produceva e vestire con tessuti locali erano due importanti conquiste volte a garantire la sussistenza a tutto il popolo del Burkina Faso, evitare il più possibile importazioni straniere che incidevano negativamente non solo sul debito pubblico: “Dobbiamo accettare di vivere all’africana, perché è il solo modo di vivere liberamente, il solo modo di vivere degnamente”.

“Il nostro Paese produce cibo sufficiente per nutrire tutti i burkinabè. Ma, a causa della nostra disorganizzazione, siamo obbligati a tendere la mano per ricevere aiuti alimentari, che sono un ostacolo e che introducono nelle nostre menti le abitudini del mendicante. Molta gente chiede dove sia l’imperialismo: guardate nei piatti in cui mangiate. I chicchi di riso importato, il mais, ecco

l’imperialismo. Non c’è bisogno di guardare oltre”.

Sankara rifiutava decisamente gli aiuti internazionali e le politiche di “aggiustamento” indicate dal famigerato Fondo monetario internazionale, più o meno le stesse che in tempi recenti hanno portato l’Argentina sull’orlo del baratro: “L’Africa si salverà da sola. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno sta nella nostra terra e nelle nostre mani”. Bisogna “restituire l’Africa agli africani” poiché  “dopo essere stati schiavi, siamo ora schiavi finanziari. Dobbiamo avere il coraggio di dire ai nostri creditori: siete voi ad avere ancora dei debiti, tutto il sangue preso all’Africa”. L’attacco frontale al sistema di condizionamento politico ed economico che stava dietro gli aiuti internazionali spinse Sankara ad affermare: “Quelli che ci hanno prestato il denaro sono gli stessi che ci hanno colonizzato, sono gli stessi che hanno gestito per tanto tempo i nostri stati e le nostre economie. Loro hanno indebitato l’Africa. Noi siamo estranei alla creazione di questo debito e dunque non dobbiamo pagarlo”.

Fu avviata allora una grande campagna contro il debito estero dei Paesi africani. Nel 1983 il debito estero del Burkina Faso era il 40% del Pil (Prodotto interno lordo):  “Il debito nella sua forma attuale è la riconquista coloniale, il debito non può essere rimborsato, quello che il Fondo monetario internazionale chiede lo abbiamo già fatto”. Sankara attuò il risanamento dei conti pubblici come chiesto dal Fmi senza seguire però le loro “ricette”, si rifiutò infatti di tagliare le spese per lo stato sociale, riducendo invece quelle per l’apparato burocratico e quelle militari: “Potete citarmi un solo caso in cui il Fmi e il suo aiuto non abbiano prodotti effetti negativi? Ci è sembrato di capire che quello che il Fmi cerca va ben al di là di un controllo sulla gestione: è un controllo politico”. Un controllo politico che ha l’imperialismo occidentale come mandante.

“L’imperialismo è un sistema di sfruttamento che non si presenta solo nella forma brutale di coloro che vengono con dei cannoni a conquistare un territorio, imperialismo è più spesso ciò che si manifesta in forme più sottili, un prestito, un aiuto alimentare, un ricatto. Noi stiamo combattendo il sistema che consente ad un pugno di uomini sulla terra di comandare tutta l’umanità”. Il debito estero era visto da Sankara quindi come una forma di usura internazionale legalizzata, il grimaldello delle potenze economiche per scassinare i forzieri africani: “È il nostro sangue che ha nutrito le radici del capitalismo, provocando la nostra attuale dipendenza e consolidando il nostro sottosviluppo”.  

A complicare i rapporti con le potenze occidentali erano anche le “amicizie” di Sankara con Fidel Castro e il leader del Frelimo (Fronte di liberazione del Mozambico) Samora Machel e presidente del Mozambico (morto in un incidente aereo, in circostanze poco chiare, il 19 ottobre 1986). Il sostegno esplicito alle lotte dell’America latina, a fianco dei palestinesi e la condanna di ogni imperialismo (compreso quello sovietico) portò all’adesione, in politica internazionale, al movimento dei Paesi non allineati. Forti contrasti si erano creati con alcuni Paesi occidentali, specialmente con la Francia e gli Stati Uniti, rispetto ai quali il Burkina Faso era stato per decenni in una posizione di servitù politica ed economica.

Nella realizzazione del programma rivoluzionario di Sankara il coinvolgimento di tutto il popolo era un aspetto fondamentale: “La nostra rivoluzione è e deve essere l’azione collettiva di rivoluzionari per trasformare la realtà e migliorare concretamente la situazione delle masse del nostro Paese”; le donne in particolare rivestivano un ruolo importante e raro per un Paese africano: “Se la rivoluzione perde la lotta per la liberazione della donna, avrà perso il diritto a una trasformazione positiva della società”. Il divorzio divenne un diritto che poteva essere chiesto dalla donna anche senza il consenso del marito; fu favorita la partecipazione attiva e produttiva delle donne alla vita politica della società. “Il peso delle tradizioni secolari della nostra società ha relegato le donne al rango di bestie da soma. Le donne subiscono due volte le conseguenze nefaste della società neo-coloniale: provano le stesse sofferenze degli uomini e, inoltre, sono sottoposte dagli uomini ad ulteriori sofferenze. La nostra rivoluzione si rivolge a tutti gli oppressi e gli sfruttati e quindi si rivolge anche alle donne”.

Il controllo dello Stato sulla cooperazione internazionale, veniva effettuato in maniera caPillare in modo da evitare la creazione di condizioni tali da trasformare gli aiuti umanitari in aiuti inutili o quasi “imposti”, come una sorta di “protezione” di “stampo mafioso”, per dirla come Luigi Cavallaro ne Il modello mafioso e la società globale (Manifestolibri, Roma, 2004), che rende di fatto schiavi delle grandi potenze finanziarie e militari. “L’imperialismo, attraverso le multinazionali, il grande capitale e la potenza economica è un mostro senza pietà, dotato di artigli, corna e denti velenosi. E’ spietato e senza cuore”. Le grandi potenze “ci rimandano in un mondo di schiavitù in abiti moderni”; bisogna ricercare solo “l’aiuto che aiuta a far velocemente a meno dell’aiuto” e non quello che serve alle imprese del ricco Nord del mondo e a presunti esperti pagati con cifre da capogiro. “Con lo stipendio di un dipendente della Fao (Food and agricolture organization, organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) possiamo costruire una scuola […] Non c’è salvezza per il nostro popolo se non voltiamo completamente le spalle a tutti i modelli che ciarlatani di tutti i tipi hanno cercato di venderci per vent’anni. Non ci sarà salvezza per noi al di fuori da questo rifiuto, né sviluppo fuori da una tale rottura”.

Non tutte le campagne funzionarono ebbero il tempo di dare i propri frutti, del resto quattro anni sono pochissimi rispetto a decenni di sfruttamento e devastazione, tuttavia va ricordato che durante gli anni della rivoluzione il Burkina Faso intraprese una via che sembrò davvero andare nella direzione di vera alternativa alla miseria e alla dominazione straniera culturale ed economica.

L’esperimento rivoluzionario, unico di questo tipo in Africa, terminò il 15 ottobre 1987 quando un altro colpo di Stato pose fine alla vita di Thomas Sankara. A guidare il golpe fu un vecchio compagno di lotta di Sankara, Blaise Compaoré, che da quella data è presidente del Burkina Faso.

Il nuovo presidente disse che la morte di Sankara fu un “incidente”, così come un “intoppo temporaneo” fu considerato il vecchio programma rivoluzionario che necessitava di presunti aggiustamenti. Molte delle riforme portate avanti nel passato quadriennio furono cancellate, si attuarono privatizzazioni, si seguirono con rigorosa precisione i “consigli” del Fmi; non mancarono ovviamente le epurazioni, gli arresti indiscriminati e si tentò in ogni modo di cancellare ogni traccia e memoria della rivoluzione.

Oggi il Burkina Faso è ai primi posti nella classifica dei Paesi più poveri del mondo. Un paese globalizzato, aperto al libero mercato e quindi alle multinazionali agroalimentari degli Ogm (organismi geneticamente modificati), l’acqua potabile per tutti non è più un diritto e la gente ha ripreso a morire di fame. L’economia nazionale è fondata principalmente sugli aiuti esteri che, come un cappio al collo, continuano a ricattare il popolo intero. La parvenza democratica del potere odierno tenta di mascherare l’immensa miseria che si aggrava anno dopo anno, mentre la classe dominante si arricchisce sulla pelle del popolo senza alcun ritegno. Il Burkina Faso è tornato quindi a essere un Paese africano “normale”, cioè poverissimo, socialmente devastato. La corruzione dilaga, gli sperperi dello Stato sono tornati a crescere ai livelli, e anche più,  prerivoluzionari, così come il debito estero è diventato stratosferico. Nel 2004 il debito estero ha raggiunto i tredici miliardi di dollari. A completare il quadro ci ha pensato la sempre maggiore diffusione dell’Aids che colpisce il 4% della popolazione. L’enorme tasso di disoccupazione provoca un pesante fenomeno di emigrazione che va a ingrossare i capitali delle mafie trafficanti di uomini.

A 20 anni dalla sua morte, in Italia sono stati promossi seminari, convegni, spettacoli, la sorella Odile è stata in questi giorni a Roma, con la Carovana Sankara “Mèmoire de braises et futurs Tom Sank 2007” per raccontare l’opera rivoluzionaria del presidente burkinabè, della sua eredità, anche per il movimento di emancipazione femminile. La Carovana è partita da Città del Messico l’8 settembre, attraversando l’Italia, quindi giungerà il 14 ottobre a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, dove il Comitato nazionale d’organizzazione dell’anniversario ha preparato, dall’11 al 14 ottobre, il “Simposio internazionale sul pensiero e l’azione del presidente Thomas Sankara” (per il programma ufficiale si veda www.thomassankara.net). L’incontro vedrà la folta partecipazione di delegati provenienti da tutta l’Africa, dall’America Latina e dall’Europa.

La Campagna internazionale giustizia per Sankara, negli ultimi anni ha promosso vari procedimenti giuridici locali ed internazionali per ottenere giustizia. Un primo risultato si è avuto nell’aprile 2006 quando il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite ha condannato il Burkina Faso per il fallimento dell’inchiesta sulla morte di Sankara. Compaoré da un lato ha proposto una “Riconciliazione nazionale” che non ha trovato supporto nell’opposizione, dall’altro non ha mancato di minacciare gli organizzatori degli eventi in ricordo di Sankara.

di Luca Cumbo (lucacumbo@libero.it)

Tutte le citazioni di Sankara sono tratte dal discorso tenuto a New York, il 4 ottobre 1984, durante la 39ª sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, e dal libro Thomas Sankara, I discorsi e le idee, a cura di Marinella Correggia, Edizioni Sankara, Roma, 2006.

Per saperne di più si consiglia anche L’africa di Thomas Sankara. Le idee non si possono uccidere, di Carlo Batà, prefazione di Alex Zanotelli, Edizioni Achab, Verona, 2003.

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